Il giardino del sud

 In parlano i ragazzi

“Finché non diverranno coscienti della loro forza, non si ribelleranno e, finché non si ribelleranno, non diventeranno coscienti della loro forza.”
George Orwell, 1984

C’è una terra fiorente, al Sud del mondo, una terra ricca e generosa che abbraccia dei semi riscaldati da un Sole che a volte è gentile, altre violento. In questo luogo vivo anch’io, circondata da piante di ogni tipo, da fiori dai colori cangianti, da alberi saggi e robusti. Finché non si è partecipi alla vita del nostro Eden, del nostro Genoardo, non si può nemmeno immaginare quale significato poetico possa avere il lasciarsi cullare dalle onde del mare, che ci conosce meglio di chiunque, né sentire il profumo ancestrale dei borghi e la musica dolce e dissonante del nostro dialetto.
Io mi guardo intorno, e vedo tutta questa Bellezza che mi commuove e che mi fa amare, e piango perché, come tutte le meraviglie, alla fine è stata dimenticata.
I giardinieri che dovrebbero occuparsi del giardino, infatti, sono frettolosi e non conoscono i tempi della natura; a loro non importa quanto siano buoni i frutti del raccolto, ma soltanto quanto denaro ne potranno ricavare, né si curano delle foglie che cadono o degli steli che appassiscono: ci lasciano morire, nell’indifferenza più totale, privandoci delle cure di cui abbiamo bisogno per vivere e della libertà di farne a meno. Siamo stati rinchiusi in una serra d’ignoranza, non ci è permesso respirare l’aria vera, l’aria del mondo: soffocati in una bolla trasparente, quasi a farci credere che non siamo poi così distanti dagli altri, interamente costruita d’ignoranza mista alla paura del diverso, di ciò che non conosciamo.
Ho visto tante piante ancora non fiorite essere costrette, a malincuore, ad estirpare le proprie radici per scappare, e ne ho viste tante altre chinarsi lentamente verso il suolo, sconfitte dalla miseria e dalla povertà, per baciare per l’ultima volta quel suolo che gli ha dato la vita e che, non per volontà sua, dovrà riprendersela indietro.
La realtà è dura, lo so perché la vivo, ma sono anche arrabbiata. Si sa, infatti, che le piante sono esseri viventi, che ogni secondo respirano e si muovono e lottano per la loro esistenza: allora, ditemi, perché rimaniamo immobili, pietrificati di fronte alla corruzione? Perché le nostre foglie non si agitano al vento del cambiamento, perché ci accontentiamo di una condizione che non può soddisfare e, soprattutto, perché siamo così passivi nell’accettare che i prossimi semi debbano sopportare le stesse contraddizioni che noi subiamo? Scusate, ma io non ho più intenzione di chiudere gli occhi davanti a questo oltraggio alla dignità umana, e penso che nemmeno voi siate più disposti a girare la testa dall’altro lato.
E’ ora che il giardino del Sud abbia la sua rivincita sui pregiudizi, sulla corsi e ricorsi storici e sulle differenze sociali che gli sono state imposte: non si parla di soldi, non si parla di raccomandazioni. Io parlo di rivalutazione delle nostre possibilità, di lavoro onesto, di volontà, di miglioramenti costruiti dal basso e di mani tese in aiuto di chi ha bisogno; per queste cose, non c’è bisogno di giardinieri politicanti o strozzini travestiti da banchieri. Per queste cose, non c’è bisogno di mille telefonate ad uffici che tanto non risponderanno. Per queste cose, non c’è bisogno di lasciarsi stritolare dai tentacoli della mafia.
Vedo, nel futuro, radici che si legano insieme, che si tengono strette come mani, come ricordi, come tradizioni, e foglie che si accarezzano alte in cielo, verdi come la speranza. Vedo, nel futuro, una luce più calda, un profumo più fresco, una risata più allegra. Vedo, nel futuro, bambini che corrono per strada felici, perché sentono, nel profondo, la libertà che gli pulsa nelle vene.

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